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La Corte costituzionale, con la sentenza n. 231 del 3 novembre 2016 (allegata in pdf per pronta consultazione), fissa nuovamente i limiti della potestà legislativa regionale in tema di governo del territorio. Al di là della normativa regionale dichiarata illegittima, infatti, la Consulta precisa l’ambito di azione della legislazione regionale con particolare riferimento ai titoli abilitativi edilizi, siano essi di origine “privata” (CIL, CILA, SCIA, DIA) o “pubblica” (PdC), necessari per realizzare gli interventi in materia. Potete leggere il commento alla sentenza al seguente link https://www.sonoingara.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=56:corte-costituzionale-limiti-alla-potesta-legislativa-regionale&Itemid=160

 

 

 

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La Corte costituzionale, con la sentenza n. 231 del 3 novembre 2016 (allegata in pdf per pronta consultazione), fissa nuovamente i limiti della potestà legislativa regionale in tema di governo del territorio. Al di là della normativa regionale dichiarata illegittima, infatti, la Consulta precisa l’ambito di azione della legislazione regionale con particolare riferimento ai titoli abilitativi edilizi, siano essi di origine “privata” (CIL, CILA, SCIA, DIA) o “pubblica” (PdC), necessari per realizzare gli interventi in materia.

Traendo spunto da questioni apparentemente minori (se, ad esempio, l’installazione di nuovi impianti, pur non comportanti la creazione di volumetria, sia soggetta a CILA o SCIA), la sentenza n. 231/2016 ribadisce nel punto 2 che “pur non essendo precluso al legislatore regionale di esemplificare gli interventi edilizi che rientrano nelle definizioni statali, tale esemplificazione, per essere costituzionalmente legittima, deve essere coerente con le definizioni contenute nel testo unico dell’edilizia” di cui al d.P.R. 380/2001 (Testo unico edilizia “TUE”). Per giungere a queste conclusioni sono richiamate, tra l’altro, la sentenze n. 303 del 2003, n. 309 del 2011, n. 259 del 2014. Le Regioni, prosegue la sentenza, “possono sì estendere la disciplina statale dell’edilizia libera ad interventi “ulteriori” rispetto a quelli previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 6 del TUE, ma non anche differenziarne il regime giuridico, dislocando diversamente gli interventi edilizi tra le attività deformalizzate, soggette a CIL e CILA”.

Di particolare interesse, inoltre, appaiano le puntualizzazioni in tema di rapporti tra DIA e permesso di costruire. Il punto 5 della sentenza n. 231/2016, infatti, afferma che “La previsione della DIA “obbligatoria” come modello procedimentale sostitutivo del permesso di costruire, anziché come modello alternativo (secondo quanto previsto nel TUE) … rappresenta un disallineamento non consentito della disciplina regionale rispetto a quella statale. La facoltà per il privato, prevista dal legislatore statale, di chiedere il permesso di costruire o di presentare, alternativamente, denuncia di inizio di attività per la realizzazione degli interventi previsti all’art. 22, comma 3, del TUE, ricade nella disciplina dei titoli abilitativi, e quindi tra i principi fondamentali della materia concorrente del «governo del territorio». L’ordinamento statale attribuisce una particolare considerazione all’interesse del privato a munirsi di un assenso esplicito – anche a garanzia della migliore certezza delle situazioni giuridiche, tanto più rilevante quando, come nella materia edilizia, possano sopravvenire interventi interdittivi dell’amministrazione – come è confermato dal successivo comma 7, del medesimo art. 22 del TUE, il quale fa comunque sempre salva la possibilità per l’interessato di chiedere il rilascio del permesso di costruire per interventi che sarebbero realizzabili con la mera presentazione della denuncia di inizio attività”.

Da qui, la dichiarazione di illegittimità di una serie di previsioni della Legge Reg. Liguria n. 12/2015 in conseguenza della quale, tra l’altro, le opere di arredo e l’installazione di nuovi impianti debbono essere assoggettate a DIA, le ristrutturazioni nelle cd. zone A – con cambio di destinazione d’uso – devono essere precedute dalla “super-DIA” e l’esonero dal contributo di costruzione non può applicarsi – sempre e comunque – in caso di frazionamento di unità immobiliari. Come osservato dai primi commentatori (cfr. L. Saporito, Il Sole 24 Ore, 4/11/2016, p. 48, riportato nella rassegna stampa della Corte costituzionale), quindi, la sentenza n. 231/2006 costituisce un “monito anche per altre regioni, in quanto sottolinea la prevalenza dell’ordinamento statale (il testo unico 380/2001)”.

Infine, per il dettaglio delle disposizioni scrutinate e delle relative motivazioni si rinvia alla lettura della sentenza che, oggetto dell’udienza pubblica del 20 settembre 2016, è stata depositata in cancelleria il 3 novembre 2016.

© SONOINGARA_Riproduzione riservata

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