Accostarsi all’argomento “urbanistica” o, se si preferisce utilizzare un termine più “à la page”, al tema “governo del territorio” sembra una questione riservata a pochi iniziati. Ci si trova, infatti, spesso di fronte a sintesi scontate o ad un patrimonio comune di informazioni ripetuto in modo tralatizio, senza cioè un preciso riferimento normativo o giurisprudenziale.

Oggi, con la lettura delle sentenze del Consiglio di Stato, sez. IV, 19/01/2018 nn. 333 e 332 (allegate in pdf), anche i non addetti ai lavori possono accedere ad un riepilogo comprensibile sulla natura degli strumenti urbanistici e sul regime delle relative impugnazioni.

La questione trae origine dalla contestazione di un permesso di costruire il cui rilascio era stato impugnato da un proprietario di un fondo vicino per una serie di articolate motivazioni.

Nell’affrontare in dettaglio ciascuno dei motivi che avevano trovato accoglimento innanzi al Tar, il Consiglio di Stato (sez. IV, con la sent. n. 333/2018) riforma la sentenza di primo grado ed afferma che, "in tema di disposizioni dirette a regolamentare l'uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel piano regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa regionale, vanno distinte:

a) le prescrizioni che, in via immediata, stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata (nel cui ambito rientrano le norme di c.d. zonizzazione, la destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici, la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo);

b) le altre regole che, più in dettaglio, disciplinano l'esercizio dell'attività edificatoria, generalmente contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio (disposizioni sul calcolo delle distanze e delle altezze, sull'osservanza di canoni estetici, sull'assolvimento di oneri procedimentali e documentali, regole tecniche sull'attività costruttiva, ecc.).

Secondo il suddetto indirizzo, per le disposizioni appartenenti alla prima categoria s'impone, in relazione all'immediato effetto conformativo dello ius aedificandi dei proprietari dei suoli interessati che ne deriva, ove se ne intenda contestare il contenuto, un onere di immediata impugnativa in osservanza del termine decadenziale a partire dalla pubblicazione dello strumento pianificatorio.

Invece, le prescrizioni di dettaglio contenute nelle norme di natura regolamentare destinate a regolare la futura attività edilizia, che sono suscettibili di ripetuta applicazione ed esplicano effetto lesivo nel momento in cui è adottato l'atto applicativo, possono essere oggetto di censura in occasione della sua impugnazione (ex multis, sez. IV, n. 5235 del 2015)”.

Dunque, la zonizzazione dell’area in cui è realizzato un edificio, per cui è stato rilasciato il permesso di costruire, deve essere impugnata subito dai soggetti legittimati (ad es. vicini) che si assumano lesi per previsioni che riguardano la stessa zonizzazione dell’area impugnando i provvedimenti emanati sulla base delle NTA. (Si tratta, infatti, di disposizioni rientranti nella fattispecie sub a).

Diverse considerazioni, invece, debbono formularsi per “il mancato esercizio da parte del Comune del potere, previsto nelle NTA, di deliberare per le zone …. uno strumento urbanistico attuativo al fine di avere una più organica sistemazione urbanistica ed edilizia di zone disarticolate, in alternativa all’intervento diretto reso possibile in via immediata dalle stesse disposizioni”, (ossia per la fattispecie sub b).

Sotto questo profilo, infatti, il Consiglio di Stato precisa che “solo il mancato esercizio di tale possibilità in una con il rilascio di permessi di costruire …. rende concreta ed attuale la lesione del vicino che, assumendo esistente una zona solo parzialmente edificata, disarticolata, non compiutamente urbanizzata, in gran parte rientrante nel vincolo paesaggistico previsto dalla legge”, ritenga di impugnare siffatta decisione.

In particolare, la sentenza ricorda che “in presenza di una zona già urbanizzata, va esclusa la necessità dello strumento attuativo solo nei casi in cui la situazione di fatto, in presenza di una pressoché completa edificazione della zona, sia addirittura incompatibile con un piano attuativo (ad es. il lotto residuale ed intercluso in area completamente urbanizzata), non anche nell'ipotesi in cui per effetto di una edificazione disomogenea ci si trovi di fronte ad una situazione che esige un intervento idoneo a restituire efficienza all'abitato, riordinando e talora definendo ex novo un disegno urbanistico di completamento della zona (ad esempio, completando il sistema della viabilità secondaria nella zona o integrando l'urbanizzazione esistente per garantire il rispetto degli standard minimi per spazi e servizi pubblici e le condizioni per l'armonico collegamento con le zone contigue, già asservite all'edificazione”.

Del resto, prosegue il Consiglio di Stato, “l'esigenza di un piano di lottizzazione, quale presupposto per il rilascio della concessione edilizia, si impone anche al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione già esistenti e, quindi, anche alla più limitata funzione di armonizzare aree già compromesse ed urbanizzate, che richiedano una necessaria pianificazione della maglia e perciò anche in caso di lotto intercluso o di altri casi analoghi di zona già edificata e urbanizzata (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 4200 del 2013, ove numerosi riferimenti ulteriori, cui adde sez. V, n. 1177 del 2012)”.

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